Memorie di una bevitrice di Estahè

Memorie di una bevitrice di Estahè

martedì 8 novembre 2016

L'anti-galathèo (o del come diseducare le signorine perbene)

Se avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
«Ehi tu, Dio!», gli avrei detto, «Non darmi tutte queste tette, dammi una voce fuoricampo»

Tra i molti problemi presenti nella mia complicata interazione con gli altri, c'è anche quello dell'educazione. Per educazione, sono capace di cedere il mio posto sull'autobus anche a uno che è più vecchio di me solo di sei mesi (d'altra parte, i nati in gennaio mi sembrano sempre più anziani di quello che sono). Per educazione, la settimana scorsa, non ho detto alla parrucchiera che non aveva capito nulla di quello che le avevo chiesto e che mi stava facendo un taglio cortissimo quando avevo passato un sacco di tempo a cercare di farmi allungare i capelli. Per educazione, quando il mio vicino di casa mi ha detto: «Meno male che hai cambiato foto di profilo su FB, nell'altra mi sembravi...», cito testualmente: «...handicappata», io non gli ho risposto: «Ma come ti permetti?», così come ho taciuto quando, qualche anno fa, dopo un'abbondante cena a casa di un amico, nel riposo post-prandiale da amaro e chiacchiere, suo padre si è avvicinato alla poltrona su cui ero spiaggiata e mi ha preso a pinza, tra pollice e indice, un angolo della pancia per poi dirmi: «Allora è qua che hai nascosto tutte le fettuccine che hai mangiato!».
Mi sono messa a pensarci l'altro giorno, mentre facevo aperitivo con la mia amica Lorelai – che è una di quelle giornaliste colte e analitiche che hanno sempre qualcosa di intelligente da dire. Avendo deciso di ordinare da mangiare, Lorelai ha chiesto al cameriere che tipo di prosciutto c'era nel toast e lui, dopo averle risposto confusamente, ha aggiunto: «Ammazza se sei strana...» – oltretutto senza somigliare per niente a Luke Danes. Aspettavo una sua reazione, ma l'ho guardata tacere con stupore – uno stupore che nascondeva sorellanza – e, quando il finto Luke è andato via, lei mi ha detto: «Lo so che avrei dovuto rispondergli male ma, mio malgrado, sono troppo educata».
Praticamente: il tema della mia esistenza.

A ricordarla tutta insieme quella insistita cortesia mi ha molto innervosito ed è stato mentre camminavo agitata verso casa che ho sentito la voce di Giaris che mi parlava.
«Iris, ho appena deciso che sei stata ammessa al mio corso»
«Al tuo corso?»
«Al mio corso, sì. Una specie di stage fatto apposta per te»
«Giaris, non ti sto capendo»
«L'immagine di te che stai zitta con la pancia presa a pinza da uno sconosciuto mi ha spinto a telefonare a tua madre, per richiedere tutta una serie di informazioni: oltre a parlarmi dell'Estathè, del tuo ex fidanzato e del fatto che vorrebbe dei nipotini, mi ha detto che, quando sei di spalle e non lo vedi, tuo padre ti fa il saluto militare e che se lei e Oris dovessero pensare a un regalo di nozze per un tuo ipotetico marito di sicuro opterebbero per una damigiana di Lexotan»
«Grazie per questa bella panoramica di amore famigliare, ma continuo a non capire...»
«Vuol dire che non sei repressa, poco combattiva, mansueta o irrispettosa di te stessa, anzi: sei una grandissima cagacazzi, solo che sei affetta da una forma di educazione un po' debilitante. Questo fa di te la mia candidata perfetta! Ti serve una guida al vaffanculo terapeutico: una specie di manuale che ti racconti gli innumerevoli modi che esistono per lasciar cadere la corona, raccoglierla e infilarla nei pertugi più disparati di chi ti rompe i coglioni. Insomma, grazie a me smetterai di essere una signorina perbene. Anche perché, parliamoci chiaro, Iris, te lo dico come te lo direbbe tua sorella: "Lo sai dove ti porterà tutta questa educazione? Dietro a un frigorifero abbandonato, alla fermata del 360"».

Giaris è una delle persone più brusche, dirette e caustiche che io conosca. Quando le racconto le cose assurde che mi succedono la vedo che le si sfina la faccia in un'espressione di rabbia compressa. «Ma perché non ci sono mai io quando succedono queste cose?», mi dice, guardandomi bere copiose e sgraziate quantità di Estathè per bilanciare le buone maniere. Siccome vive all'estero, il corso è iniziato con lezioni di dissenso per corrispondenza, ma ieri è tornata per un paio di settimane e mi ha incastrato intorno a un tavolo per spiegarmi il suo anti-galateo.
«Esempio: una vecchia col carrello pieno ti passa avanti al supermercato nonostante tu abbia solo una cartucciera di brick e un paio di bottiglie di Estathè a cui sei praticamente abbracciata. Che fai?»
«L'esempio è sbagliato: è anziana, la lascio passare»
«Assolutamente no! Lo capisci che mentre tu hai fretta perché devi tornare a casa a lavorare per non andare mai in pensione, ti sei appena fatta superare da una pensionata che non ha niente da fare e si sbriga perché deve andare a vedere Il segreto su Canale 5?»
«E che dovrei fare, allora?»
«Mi scusi signora, ma ci sono prima io. Me lo avesse chiesto, l'avrei anche fatta passare perché sono una ragazza ben educata. Ma proprio in quanto fan dell'educazione, mi vedo costretta a chiederle di tornare al suo posto»
«E se lei mi dice che non mi aveva visto? Che ha la cataratta, il cane legato fuori o che è incontinente?»
«Ma perché quando Oris vuole saltare le file la massacri e invece fai passare 'sta vecchia che, tra l'altro, nel carrello ha un thè deteinato sottomarca?»
«Oris mica è incontinente!»
«Mi sa che tu sei una guerra persa...»

Siccome nell'esercitazione pratica ho fatto schifo, Giaris è passata alla teoria, che è la mia parte preferita, perché io adoro le sue storie, a volte le chiedo di raccontarmele di nuovo anche se le conosco già – soprattutto quella del venticinquenne vergine rimorchiato durante la festa per il suo penultimo compleanno, che lei ha cacciato di casa di fronte alla scoperta, urlando: «Truffatore! Io ti denuncio! Mi hai rovinato la serata!».
Non so se nel suo talento per lo storytelling c'entra il fatto che è una sociologa, ma so che quando mi ha detto: «Sono tornata a Roma perché mi mancavate, sì, ma soprattutto perché mi mancavo io, la me di quando sono qua» ho capito quanta bellezza riesce a sprigionare l'insolenza quando è frutto di pensiero. Giaris mi ha spiegato che, a questa cosa dell'estremismo nella franchezza, del profondo Sticazzismo della tua sensibilità, piuttosto impara a stare al mondo, ci tiene soprattutto perché lei ha sperimentato anche l'altra metà del cielo: come tutti, Giaris, per un periodo si è persa.
«Una cosa tremenda tipo quella che fai tu con la tua corte dei miracoli, che i problemi degli altri erano diventati più importanti dei miei, che ero gentile pure quando ero triste... Insomma: una situazione abominevole»
«E che hai fatto?»
«Mi sono ricordata delle mie tre i: il tema della mia esistenza»
«Le tue tre i?»
«Sì, mi sono detta che, nonostante tutto quello che mi succede nella vita, io voglio continuare a essere Inadatta, Inappropriata e Inesportabile»
«E ce l'hai fatta?»
«Secondo te?»
«E che pensi di me? Ce la posso fare?»
«Guarda, io direi che intanto mi dai il numero della tua amica Lorelai, che mi serve un altro candidato...»

Quando dico a mia madre che è colpa sua se sono troppo educata, lei mi risponde che è una frase che non vuol dire niente e che, comunque, alla fine, per quanto lei mi abbia sfinito con i suoi «Saluta zio. Abbraccia zia. Vai a giocare con tuo cugino. Non trattare male l'amica di tua sorella», per quanto mi abbia impedito di sedermi a tavola in pigiama o alzarmi senza chiedere il permesso, mangiare con il piede destro sulla sedia, impicciarmi di cose che non mi riguardavano e bere l'Estathè direttamente dalla bottiglia, per quanto lei sia stata severa, adesso sono io che scelgo di essere come sono, ogni giorno della mia vita.
«E poi, amore di mamma, dentro quella signorina perbene che sei si nasconde un capo di stato maggiore. Tuo padre dice che sei un generale di corpo d'armata e che, quando arrivi tu, noi diventiamo tutti soldati semplici. Se fossi pure maleducata, saresti incontenibile...»
Il punto è che se cominciassi a non cedere i posti sull'autobus e al supermercato, a saltare le file, a incazzarmi con i parrucchieri che sbagliano, con i vicini di casa quando straparlano e con la scortesia dei padri degli amici, non sarei più io e finirei per mancarmi: questo mi ha detto Giaris per spiegarmi perché era proprio nel fallimento della mia diseducazione il senso di tutto; mi ha detto che sono una rompicoglioni prepotente ma che poi dico permesso, scusa, grazie, prego ed è stato un piacere e che è questo il mio modo di essere Inadatta, Inappropriata e Inesportabile.
«Allora sono salva?»
«Oh, ma lo sai che c'ha ragione tua madre? Con te ci vuole una damigiana di Lexotan...»
«Dici così perché tanto lo sai che sono troppo educata per risponderti. Comunque, grazie di tutto...»
«Ecco, appunto: pure grazie m'hai detto... Meglio che vado a telefonare a Lorelai»

Quindi sono una guerra persa, dietro un frigorifero abbandonato, alla fermata del 360, ma non potrebbe andare meglio di così. Anzi, forse sì. Potrebbe piovere.

2 commenti:

  1. Cara Iris, ho ricevuto il link di questo articolo da mia figlia. Lei vive all'estero e comunichiamo via Skype, ma spesso mi rimanda ad articoli interessanti che legge e che vuole condividere con me.
    Questo tuo articolo in effetti parla di lei, al punto che per un attimo ho pensato che fosse lei l'autrice.
    Io invece sono quella mamma attenta all'educazione che per tutta la vita non ha perso occasione per insegnare alle proprie due figlie le buone maniere, convinta che siano un bel modo per interagire con il prossimo e per lasciare un bel ricordo di sè. Purchè non siano fine a sè stesse, purchè siano un segno di rispetto per chi ti circonda.
    Mi conforta sapere, ora che mia figlia è adulta e consapevole, che i miei sforzi sono serviti a forgiare una personalità corretta e rispettosa ma anche determinata e ragionevole.

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    1. Siamo una grande comunità, noi figlie educatissime di madri forti e attente. Ho voluto scherzare su questa cosa delle buone maniere perché mi piace scherzare su tutto, ma mi ha colpito molto questo tuo messaggio, così come mi ha colpito che mia madre mi dicesse: "Mi sono un po' commossa quando ho letto la lista delle cose che ti facevo e non ti facevo fare" (e poi ha aggiunto il solito: "Chissà che pensano di me le persone che leggono il tuo blog!"). Scrivendo questo post, di fatto ho pensato che stavo scrivendo della mia comunità, quella delle figlie educatissime di madri attente e forti, invece no: stavo anche e soprattutto scrivendo di tutti quei caterpillar che puntano sicuri all'obiettivo ma che cercano di arrivarci con garbo, quindi stavo scrivendo anche di voi, di te e di mia madre.
      Ti ringrazio moltissimo, così come ringrazio tua figlia (purtroppo nel commento non c'è il tuo nome!). Ma intanto grazie.

      Siamo così, no? Quanto ci piace, in fondo, dire "Grazie"?

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