Se
avessi potuto scegliere, io avrei voluto una voce fuoricampo
“Ehi
tu, Dio!”, gli avrei detto “Non darmi tutte queste tette, dammi
una voce fuoricampo”
A
stare tutti i giorni con te stesso, non ti accorgi che stai
invecchiando, succede come nelle trasformazioni termodinamiche quasi
statiche: ogni
giorno il tuo corpo e la tua mente variano in maniera infinitesimale,
così che il sistema te
stesso,
lo spazio che occupi e la superficie di controllo che ti divide
dall'ambiente circostante sono in equilibrio in ogni istante e i
cambiamenti non si notano.
Pensi
di essere meravigliosamente perpetuo, di vivere in uno stato di
eterna adolescenza. Pensi che la calvizie non esista, che esista solo
gente che si rasa molto a fondo. Pensi che le taglie dei tuoi vestiti
diminuiscano in maniera inversamente proporzionale al passare dei
mesi e che il problema non è che stai ingrassando. Pensi che, se
solo volessi, potresti correre una maratona: non lo fai perché le
tute dell'adidas non sono più quelle di una volta. Pensi che se
lasci i libri sulle mensole, le parole diventano più piccole, un po' sfocate, e che ti devi mettere gli occhiali perché
la letteratura è indisponente non perché ti si sta abbassando la
vista.
Pensi
un sacco di cose sulla vecchiaia che (credi) non ti apparterrà mai,
fino a che non arriva il momento della consapevolezza: la presa di
coscienza dell'aumento dell'entropia dell'universo.
Può
succedere perché un diciottenne che smanetta con l'iPhone davanti
allo scaffale dell'Estathè dice alla sua amica: «Fai passare la
signora» oppure perché ti rendi conto di accogliere l'ennesima
notizia su una tua compagna di classe che si sposa o procrea senza il
minimo stupore. Può succedere perché l'autobus che sballonzola sui
sampietrini inizia a darti fastidio oppure perché la nuova regola è
che se esci il venerdì, non esci il sabato e viceversa.
A
me la consapevolezza di non essere più quella di una volta mi ha
guardato attraverso la faccia contrariata della mia amica Giaris che
si metteva il rossetto allo stesso specchio davanti al quale io stavo
rovistando nella mia chioma per strappare un enorme e corpulento
capello bianco, ispido e presuntuoso come un pelo della barba di
Pezzetta.
Giaris
mi ha guardato con molto dissenso.
«Quello
è il filo di collegamento con la realtà irreversibile della tua
trasformazione, se lo strappi te ne ricrescono tre. La vecchiaia non
la puoi estirpare, ti si ripropone», mi ha detto.
«Sai
che la tua voce sembra quella di cosa... come si chiama...
quell'attrice... cavolo!»
«Vedi?
Già questo è un reflusso di senilità...»
Quando
Oris ha intravisto un possibile cedimento da parte mia riguardo alla
politica della naturalezza, ha capito che era il momento giusto per
convincermi a fare qualcosa ai miei capelli e non se l'è fatto
sfuggire: mi ha sbattuto fuori casa senza aspettare nemmeno che
finissi di staccare quella canuta e infida cordicella di sventura.
L'eterna
giovinezza del sistema Oris
non ha a che fare con la termodinamica, dipende da una serie di fattori
che si possono riassumere in Giulia, la sua parrucchiera, e nella
cadenza con la quale questa le rinfresca il colore sbarazzino dei
suoi capelli.
«Quanti
anni hai? Ne dimostri ventidue!», le dicono.
Oppure:
«Ma non hai la patente perché non hai ancora l'età per prenderla,
vero?».
O
anche: «Ma Iris quanti lustri ha più di te?».
Sulla
strada, mentre Oris mi portava a comprare una tinta per sfuggire
dalla freccia del tempo che puntava dritta verso di me, una signora
di almeno ottant'anni le ha urlato: «Oh madonna che bella bionda!» e
a me è sembrato che la sua voce fosse la stessa di quell'attrice che prima si
era impadronita di Giaris. E anche quando, dentro al negozio, Oris ha
detto con sgarbo: «Fateci passare» a due bambini che si erano messi
tra noi e la parete di tinte tra le quali avrei dovuto scegliere, mi
è sembrato di sentire sempre lei, sempre la stessa voce.
«Non
fate passare due signore?», ho chiesto io, visto che uno dei due
bambini non si spostava. Lui ha allungato tutte e due le braccia e ha dato una spinta a Oris.
«Vedi?
Il bambino mi riconosce come una sua pari», ha detto lei scuotendo
con gioia la sua capigliatura florida.
A
quel punto, ne ero certa, quella voce, quel tono, quel modo erano
sempre gli stessi, appartenevano a colei che si si era interposta tra
me e i video di Youtube per un sacco di tempo e che si era fatta
odiare, infilandosi nel mio cervello con quel «Posso resistere a
tutto tranne che a questi...»
Pensi
di essere immune alle pubblicità delle creme antirughe o degli
yogurt contro il colesterolo, pensi di non aver bisogno di quella
roba da vecchi, che tu sei sempre uguale, che sei immortale, che sei
al di sopra del bene e del male e la vita, invece, ti sbugiarda. La
vita ti ripaga nell'ingiurioso momento in cui devi affrontare la
caduta libera della tua volontà di fronte al bene necessario,
facendo suonare il tempo a lei, a Violante Placido, che ti dice
nell'orecchio: «...riflessi glossy glossy».
E
allora tu ripeti: «Riflessi glossy glossy».
I
momenti successivi sono avvolti nella nebbia: Oris che zompetta fuori
dal negozio felice come una pasqua (dopo aver spintonato moralmente i
bambini con il suo potere d'acquisto), io con la testa dentro la
vasca che spurgo nero
ebano
come se piovesse, un bicchiere di Estathè che mi guarda dalle mani
di Pezzetta e io che lo rifiuto e poi la voce di Giaris, quella vera,
che mi dice: «Ammazza quanto sei glossy
glossy!».
«Secondo
me, sono venuta troppo scura...», ho detto a Oris, alla fine di tutto.
«Beviti
il bicchiere di Estathè e non fare la prosopopea su questa tinta,
che tra l'altro ti dura solo 28 shampoo perché è senza ammoniaca.
Non conservare questo momento nella memoria come se fosse l'inizio
del resto della tua vita. Non essere pesante. Questa va via quando va
via, non è che ti viene la ricrescita. Solo l'ammoniaca è per
sempre...», mi ha risposto lei.
Tinte
De Beers, spero che non mi avrete mai.
Bello! non scrivi più?
RispondiEliminaSì, certo! Scrivo sempre, anche se da quando è uscito il mio libro aggiorno con meno frequenza. Questo post che hai letto è di un po' di tempo fa, che strano... Comunque: grazie mille!
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